Confraternita dei Santi Martiri Mauro, Sergio e Pantaleone - Cattedrale di Bisceglie

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Confraternita dei Santi Martiri Protettori
Mauro Vescovo, Sergio e Pantaleone
sito internet:  www.vestigia.it
La Confraternita dei Santi Martiri Mauro, Sergio e Pantaleone ha radici antichissime:


nel 1167, il ritrovamento delle Reliquie dei Santi Martiri Mauro, Sergio e Pantaleone, che, per iniziativa del Vescovo Amando (1153-1182), sono eletti Protettori e Patroni della città, favorisce l’istituzione di una nuova dignità: il Priore dei Santi Martiri, e la costruzione dell’odierna Cattedrale sui resti della precedente. Si tratta di un evento fondante, che lascia traccia indelebile anche in sede documentaria, nel ridefinire la fisionomia della Bisceglie sacra.


Amando narrerà l’intera vicenda nella sua "Historia inventionis", secondo il titolo che i Bollandisti daranno poi alla sua opera. Il manoscritto, di pugno dell’Autore, era tradizionalmente conservato e venerato assieme alle reliquie dei Santi Martiri, ma dopo il XVII secolo se ne perdono le tracce.

Le prime pergamene che attestano l’esistenza della Confraternita risalgono in realtà alla fine del Trecento. Si tratta soprattutto di atti notarili di compravendita, o di lasciti testamentari, di cui la Confraternita risulta destinataria. Ad esempio, una pergamena del 14 settembre 1384 attesta l’acquisto di un orto da parte di Angelo De Costanza e Pietro De Marzucco, entrambi membri della Confraternita dei SS. Martiri. Altre pergamene (risalenti al periodo compreso tra 1400 e 1426) documentano invece lasciti di beni alla Confraternita da parte di nobili:  si trattava per lo più di beni immobili, come vigne e orti. La stessa Confraternita dovette edificare, sotto il titolo dei SS. Martiri, un ospedale, situato vicino alla chiesa di S. Ludovico (oggi nota come S. Luigi). Quello che è adesso il monastero delle suore Clarisse doveva dunque in origine fungere da ospedale per i pellegrini.


La confraternita è regolarizzata nella "confessione" della Cattedrale dal Vescovo Antonio Lupicini intorno al 1507.


In origine si trattava di una confraternita mista, composta sia da confratelli che da consorelle, come dimostra la lastra tombale rinvenuta nel giardino vescovile e oggi conservata all’interno del Museo Diocesano (Prima lapide) . Sulla lapide si legge infatti la seguente iscrizione: «Sepulcrum Confratrum Et Consorum Sanctorum Martirum - 15..» (sepolcro dei confratelli e delle consorelle dei Santi Martiri - 15..). Le donne, non solo erano ammesse all’interno della Confraternita, ma avevano anche il diritto di sepoltura nello stesso cimitero.


La confraternita venne nuovamente riformata nel 1692 da monsignor Pompeo Sarnelli, che ne dettò le Regole e ne rivide l’organizzazione. Il sepolcro dei confratelli venne rifatto ex novo, affinché fosse più dignitoso. All’interno del giardino vescovile, infatti, è stata ritrovata un’altra lapide in cui figura l’iscrizione «[Sanctorum Martirum Primae Confraternitatis Novissimum Domicilium - 1704» (Nuovissimo Sepolcro della Prima Confraternita dei SS. Martiri - 1704). Si noti come il sepolcro venga definito “domicilium”. (Seconda lapide).


Dopo la riforma sarnelliana, la Confraternita tornò a essere composta esclusivamente da affiliati maschili e venne suddivisa in due sezioni. Una composta da dodici “persone nobili” (sei membri del Capitolo e sei gentiluomini) e l’altra costituita da venti confratelli appartenenti alla Comunanza del Popolo. All’interno della congrega veniva così a manifestarsi una sorta di gerarchia, che rifletteva gli schemi rigidi di una società, in cui era ancora forte il senso dell’appartenenza. Da una parte i nobili, dall’altra la plebe.

La confraternita cui appartenevano i cittadini del ceto popolare venne riconosciuta ufficialmente dallo Stato civile nell’agosto del 1781, con il regio assenso di re Ferdinando IV.

L’anno seguente, e precisamente il 24 luglio 1782, anche la confraternita dei nobili ottenne dal re Ferdinando IV il riconoscimento ufficiale. Nel primo articolo delle regole si legge infatti: «Che il numero de’ fratelli debba essere sempre di ventiquattro persone tutte nobili, e principali della medesima Città».

Un altro aspetto interessante presente nelle Regole Statutarie del 1782 è relativo al ruolo degli ecclesiastici nella conrega. Essi non avrebbero goduto di potere elettivo né decisionale.


Prima Lapide


Seconda Lapide

Un ultimo passaggio da sottolineare riguarda il rigido ordinamento che regolava la successione nei posti di comando della Confraternita. Gli amministratori e gli ufficiali appena eletti non sarebbero potuti essere congiunti o parenti dei loro predecessori. Nel sistema elettivo della congrega veniva dunque rifiutato il principio della successione, a vantaggio di un meccanismo più apertamente democratico e meritocratico. I legami di sangue non contavano, anzi era temuta qualsiasi forma di nepotismo, che avrebbe potuto consolidare caste e dinastie, facilitando l’arroccarsi di singole famiglie al comando della congrega. Per questo, piuttosto che di padre in figlio, il potere si tramandava di confratello in confratello; e gli unici legami di sangue consentiti erano quelli con il venerabile sangue dei Santi Martiri.


Su queste basi i confratelli, contrassegnando i loro nomi, chiesero al sovrano di Napoli di concedere il Regiò Assenso e di riconoscere sia l’esistenza della Confraternita sia la bontà delle loro Regole.

Oggi la confraternita dei nobili si è estinta; ne porta avanti l’operato la confraternita del ceto popolare, rimasta unica custode delle statue e del prezioso tesoro dei SS. Martiri.

Come risulta da quanto scritto, da secoli la Confraternita dei SS. Martiri continua a svolgere in maniera costante i suoi compiti caritatevoli, assistenziali e devozionali, con una azione vigorosa all'interno e al di fuori della vita ecclesiastica.

Fino al 1969, la confraternita si è anche occupata di sorreggere in processione, durante l’incontro, l’effigie della Madonna Addolorata.

Dal 1970, il testimone è passato alla neonata Confraternita dell’Addolorata, ma la congrega dei Santi Martiri conserva un legame privilegiato con il culto della Madonna.

Nel periodo post-pasquale la Confraternita concorre in maniera attiva a realizzare la fiera campestre della Madonna di Zappino.

Ma la devozione della Confraternita si rivolge in particolare al culto dei tre Santi Martiri, patroni di Bisceglie.


Gli appuntamenti liturgici dedicati a S. Mauro, S. Sergio e S. Pantaleone iniziano i primi di maggio e si concludono solo ad agosto, con la celebrazione della festa patronale.

Il 10 maggio si festeggia la ricorrenza del primo ritrovamento delle Reliquie dei Santi, avvenuto il 10 maggio 1167.
 
Il 17 luglio, in occasione della commemorazione di alcuni miracoli fatti dai Santi, si celebra una messa presso la chiesetta rurale del casale di Sagina.
 
Il 27 luglio è la ricorrenza del martirio dei Santi, avvenuta il 27 luglio 117).
 
Il 30 luglio, infine, si commemora la traslazione delle Reliquie dei Santi, da Sagina alla cripta della Cattedrale di Bisceglie. In questa occasione si celebra una santa messa presso la località cosiddetta  “Pedata dei Santi”.

Il compito della Confraternita tocca il suo vertice durante la festa patronale, che si tiene la prima o la seconda domenica di agosto. Processioni e celebrazioni liturgiche coronano l’operato dei confratelli al servizio dei venerati S. Mauro, S. Sergio e S. Pantaleone.

Il 20 ottobre si festeggia la ricorrenza del secondo ritrovamento delle Reliquie dei Santi.

La Confraternita dei Santi Martiri annovera circa cento iscritti, in maggior parte uomini e dal 2009 raccoglie le iscrizioni femminili. L’abito indossato dai confratelli durante le cerimonie è un camice bianco con la mozzetta rossa: il rosso sta infatti a indicare il colore del martirio.

Cenni storici sui Santi Martiri
Mauro Vescovo, Sergio e Pantaleone
La tradizione narra che nell’anno 51, Mauro di Betlemme, fatto vescovo dall’apostolo Pietro, dopo aver incontrato la Beata Vergine Maria in Gerusalemme o in Efeso, approdò sulle coste dell’Apulia per divulgare la nuova fede cristiana.

La sua parola fu ascoltata da due nobili cavalieri romani parenti dell’imperatore Traiano: Sergio, governatore della città di Bisceglie e Pantaleone, soprintendente delle guardie. I due si convertirono al cristianesimo e ne divennero discepoli.




Chiesetta rurale in località Sagina nel luogo dove furono sepolti i resti dei Santi da Tecla de Fabiis
fatta erigere nel 1704 da Mons. Sarnelli sui resti dell'antica chiesa

Il proconsole di Venosa informato dei fatti ordinò il loro arresto: i tre furono condotti in un orrendo carcere dove furono sottoposti, a volte con la forza, a volte con le lusinghe, a più tentativi di convincimento al ripudio della fede cristiana. Tentativi andati vani.

La sentenza fu eseguita in Bisceglie il 27 luglio 117, in un luogo nelle vicinanze della lama detta poi di Santa Croce. I due cavalieri romani precedettero il loro maestro nella gloria del martirio: Sergio fu scarnificato vivo con uncini di ferro, Pantaleone fu affisso ad una croce. Mauro fu decapitato.

i corpi furono gettati in pasto alle bestie che tuttavia non li mangiarono. I miseri resti furono pietosamente raccolti da una donna di fede cristiana, Tecla de Fabiis, vedova di nobile famiglia, e portati in una villa di sua proprietà nella vicina contrada Sagina, qui li compose in un sepolcro sul quale eresse un piccolo ma ricco oratorio che dedicò a San Sergio, di cui pare fosse lontana parente.

Quasi due secoli dopo, l’imperatore Diocleziano, accortosi che il loro culto incrementava nella popolazione la fede in Cristo Gesù, temendo rivolte, fece bruciare gli atti relativi al loro processo.




Il "Primo Ritrovamento" delle Reliquie.


Il Vescovo Amando, nelle sue cronache, narra che:

“Trascorsi oltre mille anni dal Martirio, nel 1167, un giovane di Acquaviva, tale Adeodonato, sognò San Mauro che, vestito di bianco e con gli occhi splendenti, lo conduceva in una grotta, in fondo alla quale, al brillare di un’intensa luce, erano San Pantaleone crocifisso e San Sergio intento ad alimentare lampade.

Nella primavera che seguì, il giovane, passato al servizio del monastero della SS. Trinità di Bari, rivide in sogno San Mauro che imperiosamente gli ordinava di recarsi sulla collina di Sagina per ritrovare i Sacri Corpi, seppelliti presso la chiesa di San Giovanni evangelista  (edificata sui ruderi dell’oratorio di San Sergio, distrutto con l’intero villaggio dai Saraceni nell’anno 840) e gli indicava come guida un eremita che egli avrebbe incontrato per caso di lì a poco.



il Vescovo AMANDO

Infatti, trovandosi di prima mattina nella basilica di San Nicola, Adeodonato riconobbe l’uomo indicatogli in sogno in un tale di nome Dionigi, custode della chiesa di Sagina, il quale si offrì di accompagnarlo.

Giunti alla loro meta i due incontrarono un tale di nome Gualterio, milanese, anch’egli custode della chiesa, che riferì di aver anche lui sognato per ben tre volte San Mauro che, nell’atto di scendere dal cielo con in mano tre vasi d’argento colmi di manna odorosa, gli ordinava di ritrovare il Sacro Sepolcreto.

Postisi prontamente a scavare, il 10 maggio, di mercoledì, i tre riportarono alla luce i ruderi dell’oratorio di San Sergio, dove apparvero i resti dei tre Santi Martiri  (Primo Ritrovamento): a ponente, su una grande pietra, c’era il corpo del Vescovo Mauro, a levante quello dei due cavalieri Sergio e Pantaleone.

Le ossa, riesumate e ripulite, apparivano con caratteristiche uniche: quelle di San Mauro, con l’anello al dito, erano bianche come neve, quelle di San Sergio color d’oro, quelle di San Pantaleone color rosso fuoco.

Sparsasi velocemente la voce del Sacro ritrovamento, a Sagina giunsero fedeli da ogni parte. Avvennero parecchie miracolose guarigioni di paralitici, zoppi, storpi, sordi, ciechi ed altri affetti da ogni sorta di malattia. Il numero dei visitatori cresceva di giorno in giorno e parve opportuno ai più trasferire i corpi in un luogo più sicuro e più degno in quanto in quel periodo erano frequenti i furti di reliquie.

Andriesi, Ruvesi e Biscegliesi reclamavano il possesso delle Reliquie. Fu stabilito che fosse la sorte a decidere a chi dovessero essere assegnate.

I sacri resti furono posti su di un carro trainato da due grossi buoi e fatti partire senza guida: sarebbero state assegnate alla città verso cui si sarebbero diretti.

Percorso un paio di chilometri sotto una pioggia scrosciante che però non bagnava il corteo di fedeli capeggiato dal vescovo Amando, in prossimità di un tratturo che conduceva verso Bisceglie, uno dei due buoi scivolò su di un masso cadendo in ginocchio e lasciando un’impronta tuttora visibile: fu il Divino segno che la meta dei buoi fosse Bisceglie.

La Sacra Urna fu riposta nella chiesa di San Fortunato Vescovo, nei pressi dell'attuale vecchia Chiesa della B.V. Maria della Misericordia, nell’attesa che la Cattedrale fosse pronta ad ospitare le Reliquie nella sua cripta. Pochi giorni dopo, per maggiore cautela, si pensò trasferirli nella chiesa di San Bartolomeo apostolo, più vicina alla porta della città (Porta Zappino).

Infine, il 30 luglio, alla presenza di una grande quantità di fedeli e di vescovi, abati, arcipreti, arcidiaconi e sacerdoti, tra cui vi parteciparono il Vescovo Amando, Milone di Polignano, Urso di Ruvo, Giovanni di Canne, Smaragdo di Vieste e Pietro Abate del Monastero di Colonna, provenienti dalle vicine città, avvenne la Solenne Traslazione all’interno della cripta della Cattedrale.

Le ossa furono riposte in tre urne di pietra, sotto tre altari ornati di gemme e pietre preziose: a San Pantaleone fu riservato l’altare centrale, a San Mauro andò quello di destra, a San Sergio quello di sinistra.”


 

Cappella eretta sulla roccia della
"Pedata dei Santi"

La Cronaca di Amando, ritenuto uno degli uomini più dotti del sec. XII, fu riportata, sotto il titolo di Historia Inventionis primae, nei voluminosi Acta Sanctorum redatti dai padri Bollandisti nel sec. XVII., ha come fonte la testimonianza dell’Abate di Santa Maria di Pulsano, Gioele fatta sotto giuramento allo stesso Vescovo Amando.

La Cronaca di Amando è stata conservata, manoscritta, in Concattedrale fino al 1549, quando il Capitolo diede l’incarico all’agostiniano Padre Mariano della Cava il compito di curarne la revisione e la pubblicazione in forma di Ufficio per la lettura giornaliere nella Chiesa di Bisceglie. L’opera fu stampata a Venezia.

Oggi sappiamo che alcune pagine della Cronaca di Amando si conservano nel Codice Arundel 234, presso il British Museum di Londra, con il titolo Amandi Vigiliensis episcopi Epistula de reliquiis S. Pantaleonis.



Il 20 Ottobre 1475 avviene il secondo ritrovamento delle Reliquie dei nostri Santi.

Questo secondo ritrovamento avviene in un momento storico in cui il loro culto si era intiepidito.

All’epoca di questi fatti era Signore di Bisceglie il Duca d’Andria Francesco II del Balzo e Vescovo era Giacomo da Gravina.


il Duca Francesco II Del Balzo

Il Duca del Balzo visitando la cripta della Cattedrale rimase sconcertato nel riscontrare lo stato di abbandono degli altari laterali e centrale dei Santi Patroni, pertanto organizza gli scavi per riportare alla luce le Reliquie e ricollocarle in un’ unica urna sotto l’altare centrale della cripta.

Questo rinvenimento riaccese la devozione del popolo biscegliese nei confronti dei Tre Santi, le cui ossa per diversi anni trasudarono manna miracolosa.



Durante l’Episcopato di Mons. Pompeo Sarnelli dal 1692 al 1724 il culto dei Santi sarà oggetto di particolare attenzione, prova ne è il testo: “L’Arca del Testamento in Biseglia” e la commedia “Il vero tesoro dè Santi Corpi dè Gloriosi Martiri” redatte dallo stesso.



Mons. Pompeo Sarnelli





La lapide tombale del Vescovo
Giacomo da Gravina
(ora collocata alla fine della scalinata
della Cripta della Cattedrale)



Lastra lapidea di copertura all'Urna interrata delle Reliquie dei Santi Martiri - 1475



Il ricordo del martirio dei Santi Martiri Mauro Vescovo, Sergio e Pantaleone avvenuto il 27 Luglio 117 è attestato nel Martirologio Romano di Gregorio XIII e corretto da Papa Benedetto XIV (pag. 155).


  

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